venerdì 11 agosto 2023

I misteri del castello di Torre Alfina

Agosto è per molti sinonimo di vacanze: c'è chi ama la montagna, chi ama il mare, chi decide di trascorrere il suo tempo libero in campagna o al lago... E poi c'è chi preferisce un fresco brivido di mistero!

Se siete a caccia di alberghi infestati non potete assolutamente perdervi il castello di Torre Alfina, frazione del borgo di Acquapendente, in provincia di Viterbo. I posti sono limitati e, solitamente, riservati ad eventi speciali (matrimoni, eventi culturali, ecc.) quindi scegliete la giusta occasione!

Costruito nel VIII secolo dai Longobardi, vanta tra i suoi illustri proprietari i Monaldeschi di Orvieto, il Marchese Bourbon del Monte e i Cahen del Belgio, questi ultimi fautori della completa ristrutturazione della dimora così come la vediamo ai giorni nostri.

Impreziosito da sale riccamente decorate, circondato da uno splendido prato all'inglese e a pochi passi dal Bosco del Sasseto, pare proprio uscito da una fiaba! Cosa potrebbe mai andare storto in un luogo simile? I medesimi pensieri se li sarà fatti anche quella copia di giovani sposi che, non troppo tempo fa, è stata testimone di un fatto curioso. "Proprio mentre un membro dello staff si accingeva ad aprire la porta della stanza a loro destinata, un presepe con una pesantissima campana in vetro sopra si è mosso di circa 20 centimetri cadendo rovinosamente a terra." (La Repubblica, 23-05-2022)

Non si tratta di un evento isolato: già da tempo si parla di due presenze che di umano hanno solamente le forme: una dama misteriosa, avvistata sulla scalinata principale e nei pressi di una statua posta al pian terreno, ed un certo Generoso, considerato l'attrazione principale del brogo sebbene nessuno lo abbia mai effettivamente visto in volto... O quel che ne rimane, insomma.

In paese lo chiamano anche Castello delle Streghe: come per magia, infatti, da qualsiasi puinto del borgo lo si voglia guardare, la torre resta sempre ben visibile. 

I misteri, però, non finiscono qui. Una mattina dell'autunno del 2021 sono state rinvenute orme sconosciute a partire dall'esterno del prato fino al raggiungemnto della parte centrale dello stesso. Per ben sette mesi in quei punti non è cresciuto nulla, e solo in un secondo momento ha iniziato ad apparire del muschio. 


Sale grosso, pesticidi, candeggina: di ipotesi ne son state fatte a bizzeffe ed è stato "scomodato" addirittura un gruppo di ghost hunters di Roma che non è venuto a capo del mistero ma ha scoperto qualcos'altro di molto interessante: grazie ad una termocamera è stata fotografata un'alterazione termica su un'antica sedia, come se qualcuno vi fosse stato seduto sopra di recente. Appurato che non è il materiale ad emettere calore e  che nessuno si era ancora avvicinato allo scranno, l'anomalia è decisamente curiosa. 

Non mancano le storie legate al circostante Bosco del Sasseto. Le leggende locali narrano di un licantropo che vi si rifugiava nottetempo per abbeverarsi alla sorgente. Approfittando dell'aspetto fiabesco del bosco, il regista Matteo Garrone ha girato proprio al suo interno parte del film "Il racconto dei racconti", ispirato al celebre "Lo cunto de li cunti" di Basile. 

Questa particolare formazione del bosco è dovuta alla presenza di rocce vulcaniche ricoperte da muschi centenari e a varie specie di piante che, solitamente, hanno dimora in luoghi e climi differenti come ad esempio il carpino nero e il leccio.

Il Marchese Edoardo Cahen scelse il bosco come sua ultima dimora: fece infatti costruire al suo interno un mausoleo nel quale ebbe il desiderio di far seppellire le sue spoglie. Il suo riposo venne purtroppo disturbato nel 2011 quando il sarcofago fu depredato. Qualcuno dice che sulla famiglia Cahen gravi una maledizione e che tale episodio ne sia una triste parte. 


© Monica Taddia

Tutte le fotografie sono state tratte dalla pagina Facebook e dal sito https://www.castellotorrealfina.it/

martedì 14 marzo 2023

Nel Canale d'Incarojo

foto tratta da https://www.turismofvg.it/

Piccola premessa; la Val d'Incarojo, detta anche Canal d'Icarojo si trova in Friuli e, più precisamente, in Carnia. Questo brano, tratto da "Pagine friulane" n. 6 del 1893, testimonia la presenza già da allora di alcune leggende locali. 

1. Pochissime sono le gesta dei Nani che si raccontano; e quelle poche suonano così: 

Uomini e donne della nostra razza, li rubavano, e li custodivano in casa sotto una gerla, e quando i Nani vedevano qualche lavoro fatto dai nostri, come, per esempio, accendere il fuoco nel forno per cuocere il pane, esclamavano: Soi von e bisavon, att e bisalt, e mai no hai viodùd un tal att. 

2. Li rubavano talvolta anche per metterlì entro una piccola fossa nel terreno, e poi li coprivano con piccole pietre maneggiabili da una sola nostra mano, ed i Nani si chiamavano tutti per alzare la pietra e porre in libertà i loro compadri; ma tante volte, ad onta d’essersi chiamati in massa, non ci riuscivano, e per conseguenza, quelli nel fosso dovevano morire. 

3. Si racconta esservi stati dei possidenti di vacche, che non potevano mai fare il burro quantunque avessero sbattuto la panna per più ore, e questo inconveniente si attribuiva a streghe. Si presentò persona durante questo sbattimento, ed ordinato da essa che si sbattesse di nuovo, il burro venne subito, coll’applicare soltanto un bollo a fuoco nel fondo del martello colle iniziali I H N.

4. Si racconta che una donna volle scommettere di far una visita a mezzanotte al cimitero di Paularo e per far credere che ci andava, promise di porre sulla tomba d'un tizio un fûs (fuso ndr): ma, nel mentre lo impiantava nella terra, vi restò preso anche il grembiale. Veduta e sentita la resistenza che le faceva il grembiale, ella si sforzò di liberarsene; ma non fu caso, per cui nell’indomani la trovarono morta. Dicono che non si deve mai scommettere per visitare que’ luoghi di notte.

5. Quando una vacca non ha latte, oppure le manca tutto ad un tratto, arguiscono a stregamenti, ancora al giorno d'oggi; e nella speranza che giovi, fanno andare un prete due o tre volte a benedire la mucca.

6. Una puerpera non la si lasciava uscire di casa fino a tanto che non fosse stata a ricevere una benedizione in chiesa, per paura di streghe; e quando andava per la prima volta in chiesa, non si permetteva che andasse sola, ma doveva essere accompagnata da una donna, e questa per consuetudine era la mammana*

7. Quando un individuo si perdeva di strada in luoghi che conosceva benissimo, doveva essere stato il demonio che gli aveva tolto il senno e la mente, e che cercava in questo modo di far perire lo smarrito in qualche abisso per averne l’anima.

8. Si racconta essere stato un cacciatore a Salino che, quando voleva uccidere un camoscio, si metteva in una posizione di fronte al Serniò e lì, fischiando in un modo suo particolare, venivano i camosci in frotte, a tiro di fucile.

9. Viene detto anche che il sopracitato cacciatore, quando arrivava a prendere in mano un fucile di un altro cacciatore. anche suo compagno, mai più con quel fucile si poteva uccidere selvaggina, senza che il primo avesse di nuovo preso in mano l’arme o ne avesse distrutto lo stregamento fatto.

10. Si racconta che la sera dei Santi per andare al giorno dei defunti, tutti i morti di questo paese vanno in processione alla Pieve di S. Floriano, perchè anticamente colà si sotterravano i morti del Canal d'Incarojo. Molti vecchi raccontano d'incontri fatti con la rocessione dei trapassati, e di persone morte di spavento in seguito a tale incontro.

11, Venne constatato che in una Malga dominava un’epizozia e per liberarsene, suggerito, che il primo animale da introdurre nella Malga fosse un asino; se questo moriva sì poteva benissimo far ingresso con gli animali bovini, essendo con la morte del somaro cessato ogni dubbio di epizoozia.

12. A proposito di peste bovina, venne anche detto che in questa Malga, la sera prima che morisse una vacca, i cani latravano per un'ora circa e stavano sempre vicini alla cascina, per difenderla dalle streghe, o dai demonj. Per l’abbajare dei cani quindi i pastori preconizzavano, che una o più vacche nel domani si sarebbero trovate morte.

13. Si racconta che anticamente nessuno passava di notte per certe contrade strette del paese, perchè in queste era la riunione delle streghe, e che individui azzardosi vollero far la prova di passare: senonchè, poi, tutta la notte dovettero girare il paese in preda a spasimi, senza mai poter trovare la propria abitazione, e venuto il giorno dovette accorrere il prete, per liberare que’ malcapitati da continue convulsioni che li portavano fuori dei sensi. Liberati, non si ricordavano nemmeno più di essere stati tormentati.

Vi sono poi a centinaja di quelli che narrano aver veduti i morti tanto di notte che di giorno, e tanto entro che fuori dalle proprie dimore.

(*) Qualcosa di simile perdura a Udine, città. Le puerpere vanno sempre alla prima messa dopo il parto accompagnate — da una parente, per solito — e questa deve attingere per esse l'acqua santa e da' l'aghe alla fortunata ch'é da poro divenuta madre, Certo, la costumanza riannodasi a funzioni religiose antichissime. Anche.a Udine, la prima volta che una puerpera esce di casa, sì è per recarsì alla messa.


lunedì 10 gennaio 2022

Il ghiacciaio del Felik - leggenda valdostana

C'è stato un tempo, tanti e tanti anni fa, in cui nel mondo tutti facevano a gara a essere buoni: i bambini ubbidivano sempre ai loro genitori; i papà e le mamme volevano sempre molto bene ai propri figli. Non c'erano né ricchi né poveri, né belli  né brutti e ognuno viveva felice e contento. Era sempre estate, la gente non sapeva cosa fosse il freddo e il gelo. Allora, sul Monte Rosa, c'era un grazioso villaggio, Felik, dove chi vi abitava non soltanto era buono ma non invecchiava mai. E lo sapete il perchè?

Tutto era cominciato molto tempo prima. Un giorno, infatti, gli abitanti di Felik avevano scoperto una bambina sul fondo di un crepaccio del Monte Rosa. Era ferita e svenuta. "Poverina!", avevano esclamato e non avevano esitato un attimo a calarsi nello stretto e profondo crepaccio e, dopo tanti tentativi, riuscirono a salvarla. Per giorni e giorni, tutta la gente di Felik l'aveva curata con grande affetto e quando, finalmente, la bambina tornò a sorridere fecero una grande festa. 

"Come ti chiami? Dove vive la tua mamma?" erano state le domande che le avevano fatto appena lei aveva riaperto i bellissimi occhi scuri. Ed era stato così che tutti, con grande meraviglia, avevano scoperto di trovarsi di fronte a una fata.

Già, Bianca - questo era il suo nome - era proprio una fata. Si era trasformata in bambina, si era fatta trovare svenuta e ferita in fondo al crepaccio per mettere alla prova gli abitanti di Felik, il villaggio sul Monte Rosa. E, dopo aver scoperto quanto fosse buona quella gente, aveva voluto fare a tutti un regalo. 

"Voi vivrete in eterno", aveva detto Bianca alzando una mano al cielo, "non invecchierete mai. Questo è il mio premio, ve lo siete meritato... ma, attenti, vi pongo una condizione: dovete sempre essere buoni come ora. Altrimenti, tutto finirà e si abbatterà su di voi un terribile flagello".

A tutto ci si abitua. Anche agli incantesimi delle fate. Era così accaduto che, dopo tanti e tanti anni da quando Bianca aveva pronunciato quelle parole, gli abitanti di Felik avevano cominciato a cambiare. Era accaduto che erano diventati un po' sospettosi, egoisti, invidiosi gli uni degli altri. Insomma, nel villaggio non c'era più l'atmosfera gioiosa di un tempo e ogni giorno ciascuno si scopriva meno buono di quello precedente. 

Bianca decise allora di mettere ancora alla prova gli abitanti di Felik. Trasformatasi in un vecchietto stanco e affamato, la fata tornò al villaggio. Per un giorno intero bussò alla porta di tutte le case chiedendo un po' di cibo e un letto per riposare. Ma tutti la respinsero. Nessuno le dette aiuto. E quando la gente di Felik scoprì che il vecchietto era la fata era ormai troppo tardi. 

"Ve l'avevo detto", tuonò Bianca. "Non avete mantenuto la promessa. Subirete il mio castigo". 

Aveva appena pronunciato queste parole che dal cielo cominciò a cadere la neve. Nevicò per giorni e giorni e, alla fine, del villaggio non c'era più traccia. Al suo posto, c'era ormai soltanto il manto gelido e lucente di un grande ghiacciaio: il ghiacciaio del Felik sul Monte Rosa. 

E gli abitanti del villaggio? Sono tutti vivi, là sotto. Narra la leggenda che soltanto quando i loro cuori torneranno a essere riscaldati dalla bontà il ghiacciaio del Felik tornerà a essere un ridente villaggio d'alta montagna.

Luciano Simonelli (Corriere dei Piccoli n.34 - 1981)

giovedì 6 gennaio 2022

Intervista a Bellard Richmont

Bellard Richmont è una delle "nuove leve" della letteratura fantasy italiana. Autore di racconti e romanzi tra le cui pagine spiccano il suo lato dark ed una profonda curiosità verso tutto ciò che è misterioso, si è prestato volentieri (sotto minaccia della sottoscritta) all'intervista inaugurale del 2022. E sono certa che gli porterà anche fortuna.

1) Che rapporto hai con il lato "misterioso" delle cose? Credi in fantasmi, fate, folletti, vampiri, pomodori assassini?
Il mistero e il paranormale sono sempre presenti nelle mie storie, perché ne sono affascinato. Sono di natura, però, molto scettico; sento ci sia "qualcosa" che per noi sarà sempre incomprensibile. Qualcosa oltre, perciò sì... e no.

2) Raccontaci una leggenda legata al luogo in cui vivi.
- Sono di Garbagnate Milanese, lì vicino c'è un luogo antico: villa Arconati, e pare ci viva un elfo. Almeno le voci del passato raccontano la storia di una creatura che nel parco della villa si mostri a chi ha bisogno per realizzare i desideri.

3) Hai mai avuto a che fare con esperienze inspiegabili? Avvistamenti UFO, fantasmi...?
- Se le paralisi notturne, in cui figure oscure mi osservavano, valgono, allora ne ho avute molte.

4) Ma secondo te gli alieni esistono o sono solo una trovata pubblicitaria per vendere più gadget dell'Area 51?
- Credo che ritenerci unici in un universo così vasto sia da stupidi. Ma non credo a nulla che non sia mia testimonianza diretta in questi ambiti.

5) Per il nostro blog "The Last Wave" avevi scritto un racconto in cui accenni alla figura delle Janare. Pensi di aver mai incontrato una vera strega? (Allusioni alle ex morose non sono ammesse NdR)
- Purtroppo non ho mai incontrato streghe o stregoni, mi spiace. In più hai escluso le mie ex, quindi non mi resta che dirti di no.

6) Letture e audio letture: preferisci leggere, ascoltare o entrambi? Non pensi che il grande successo degli audiolibri possa essere dovuto in parte anche al ricordo che abbiamo dei nostri cari che, quando eravamo piccoli, ci leggevano i nostri racconti preferiti? O forse, meno prosaicamente, è che la gente ha sempre meno tempo da dedicare alla lettura?
- Non ho mai ascoltato un libro e nessuno da piccolo mi ha mai raccontato o letto storie, però sono curioso. Non credo sia una questione di tempo o di impegni, penso invece si tratti di un'alternativa meno impegnativa a livello mentale, e il XXI Secolo è l'era delle comodità. Ben  venga se tutto ciò genera nuovi lettori.

7) Un'ultima domanda prima di salutarci. Quale libro fantasy avresti voluto e potuto scrivere tu?
- Avrei voluto scrivere Le cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Avrei potuto scriverlo io? Sì, ma sarebbe stato ancora più disilluso e violento, probabilmente.

Ringraziando Bellard per la sua disponibilità, vi ricordo che a breve uscirà il suo nuovo racconto "Il cavaliere senza Corpo". Trovate tutti gli aggiornamenti sulla sua pagina Instagram @bellard_richmont-scrive-cose.

giovedì 18 novembre 2021

Una chiacchierata sugli alberghi infestati di Firenze

 E' giunto il momento di riprendere a rimpolpare un pochino il blog!

Quale occasione migliore se non questa? Ieri sera il mio fratellone Tommy (in arte Nector!) è stato intervistato dalla bravissima e simpaticissima Rosy del canale "Chiacchiere ed audiolibri di Rosanna Lia" per raccontare qualche aneddoto sugli alberghi infestati di Firenze... Oltre che a qualche curiosità riguardante la Firenze misteriosa. 

Anche io sono stata testimone di alcuni accadimenti misteriosi legati ad una delle strutture alberghiere di cui parla Tommy all'interno di questa chiacchierata. Più precisamente ho trascorso una nottata a dormire nella hall del suddetto albergo con la speranza di vedere o sentire qualcosa... Durante la serata ho scattato alcunee fotografie all'interno della struttura (si tratta di un luogo di notevole importanza artistica e storica) e, a una certa ora, munita di piumone gentilmente offerto dal fratellone, mi sono addormentata su uno dei divani della sala. Ironia della sorte vuole che quella notte sia scoppiato un fortissimo temporale: qualsiasi rumore avessi sentito avrei potuto imputarlo al maltempo. Mi sono svegliata alcune volte nel corso della nottata - mi capita spesso quando non dormo nel mio letto! - e tendevo l'orecchio sperando di sentire qualche cosa di interessante ma... Niente. Solo un cane che abbaiava. Il mattino dopo ho scoperto che nessuno degli ospiti aveva con sé un cane.. Oltretutto trattandosi di un posto nel bel mezzo delle montagne era molto difficile che vi fosse qualcuno che passeggiasse con il cane lì davanti (avrebbe dovuto scavalcare un cancello), specialmente con un tempo del genere. 

Ma la cosa che più mi ha sconvolta è stata quando mi sono messa a sistemare sul cellulare le fotografie fatte nella hall... E un volto di donna è apparso proprio lì davanti, in bella posa. Posso assicurare che non era nè la faccia di un cliente (ero sola), nè la mia nè quella di Tommy che, in quel momento, si trovava altrove.

Vi lascio di seguito il link alla puntata completa, ne sentirete davvero delle belle:


Per chi fosse interessato ad un tour sulla Firenze misteriosa ed esoterica, può contattare Tommy sul suo account Instagram

mercoledì 20 gennaio 2021

La leggenda di Re Bove

La figura del Re Bove è parte integrante della storia sannita: ne è testimonianza la leggenda narrante la fondazione di Bojano, il cui nome deriva da "Bovianum". Durante il Ver Sacrum, infatti, alcuni giovani sabelli giunsero nell'attuale Bojano guidati da un bove. L'animale si fermò presso le sorgenti del Biferno per rifocillarsi e i ragazzi, credendo questo un segno del divino, decisero di stabilirsi in quel luogo dando così origine alla prima colonia sannita. 

Ed ecco, quindi, che il bue diviene protagonista di leggende, tradizioni, rappresentazioni scultoree ed effigi monetarie, oltre che ad essere ricordato nei cognomi locali (come, ad esempio, Bove e Vacca) e nei nomi di alcuni paesi (Torella del Sannio e Toro).

Tra le leggende non possiamo non citare una delle più famose, quella del Re Bove. Questi s'era innamorato perdutamente di una sua congiunta (c'è chi parla di una sorella e chi, invece, di una figlia) e, per poterla sposare, scomodò nientemeno che il Papa ed il demonio in persona! 

In "Notizie historiche della terra di Ferrazzano" di Francesco De Sanctis (1699) leggiamo che:

[...] da vecchi Cittadini, così di Ferrazzano, come di altre convicine Terre è percorsa sempre voce, che un certo Re Bove avesse edificato sette Chiese nella nostra Provincia, e che una riguardasse l'altra, e tutte dedicate alla Gran Madre di Dio; la prima sarebbe quella nel Feudo di Monteverde della giurisdizione della Terra di Mirabello, la seconda la nostra di Ferrazzano, la terza la Collegiata di S. Lonardo in Campobasso, la quarta Santa Maria della Terra di Cercemagiore, la quinta Santa Maria detta della strada della Terra dell'Amadrice, la sesta il Duomo della Catedrale della Volturara, e della settima non hò notizia; e tutte sono di una medesima costruttura, cioè le mura esteriori con pietre lavorate a scalpello: nella cima, ed in altri luoghi rilevano alcune teste di Bue, da cui è nata la mentovata tradizione, che il Re Bove me sia stato il fondatore ingiontole per penitenza spirituale dal Papa per la dispenza ottenuta di potersi sposare una congiunta in moglie.[...]

Il Papa avrebbe pertanto chiesto al Re di edificare sette chiese in una sola notte: solo allora gli avrebbe accordato il matrimonio tanto desiderato. Il monarca, disposto a tutto pur di raggiungere il proprio obiettivo, chiese quindi l'aiuto del diavolo promettendogli la propria anima in cambio. L'uomo e l'essere infernale trascorsero l'intera notte edificando chiese con i massi che il demonio gli trasportava direttamente dai monti circostanti e, al sopraggiungere dell'alba, prima ancora di aver ultimato la chiesa di Santa Maria della Strada, il Re Bove iniziò a pentirsi del patto sacrilego e chiese a Dio il perdono e la grazia. Si può immaginare la reazione del diavolo: accecato dall'ira scagliò un grosso masso contro il campanile della chiesa nel tentativo di distruggerla. Miracolosamente la roccia cambiò traiettoria e cadde conficcandosi nel terreno antistante il piazzale. Ed è ancora lì, dopo tutti questi secoli: la gente del posto lo chiama "il masso del diavolo".

Come il sopra citato De Sanctis afferma, però, non vi sono prove certe in relazione a questa leggenda:

[...] Però di consimil nome nè dentro, nè fuori d'Italia si legge nell'Istorie esservi giammai stato Regnante, che appellassesi Re Bove, se non se il favoloso Bove d'Antona nei Romanzi di Francia. Onde per accertarne il vero fondatore è d'uopo riunire tutte quelle notizie più veridiche che vi siano per render vera la Tradizione. Ed in primo luogo scorgesi allato del soprarco della porta maggiore della nostra Chiesa vers'occidente una pietra, in cui vi è scolpito l'anno 1005., e nell'Architrave di pietra vi è una iscrizione, di cui appena ne rilevano alcune lettere mentre da mano maligna, ed invidiosa furtivamente di notte fu fatta scancellare, come si è in altro luogo riferito.[...]

[...] Dal Rever. D. Lonardo Faicchia Arciprete della Volturara nell'anno 1695. vennemi similmente avvisato, esservi la medesima Tradizione in essa Città, che 'l fondatore del Duomo di quella Catedrale ne fosse stato il Re Bove, e che nel frontespizio di esso verso l'occaso, dove sta la porta maggiore vi sia una testa di Bue, e nel muro verso levante dentro la porta del Cimitero in mezzo di esso, vi sia una pietra che poco differisca dal marmo in cui vi siano scolpite queste Note con lettere maiuscole Consalvo. E che costui fosse Capitano del mentovato Re Bove, essendo così la commune tradizione di quei Cittadini. [...]

Franco Valente, architetto ed autore di diversi articoli e volumi di stampo storico ed artistico, racconta che, alla fine del Seicento, un canonico di Ferrazzano recatosi a Santa Maria della Strada (nell'attuale Matrice in provincia di Campobasso) fu particolarmente colpito dall'epitaffio scolpito in lettere gotiche su una tomba. Oggi sappiamo che tale epitaffio inizia con la parola "HOC" ma il canonico la tradusse come "BOA", dando così vita alla leggenda del Re Bove così come oggi la conosciamo.

Di particolare interesse a Santa Maria della Strada sono la facciata della chiesa, sulla quale sono ripetute più volte immagini bovine - quasi si trattasse di una "firma" del suo costruttore - ed un capitello collocato a destra del pulpito, sul quale sono rappresentate quattro misteriose figure. Una di queste rappresenta un basilisco, la cui lunga coda s'attorciglia ad un uomo il quale cerca di liberarsene aiutandosi con una roncola (strumento che rimanda all'economia contadina del luogo). Dobbiamo ricordare che nella tradizione iconografica cristiana il basilisco rappresenta il demonio, pertanto ci troviamo di fronte alla sintesi della lotta tra il bene ed il male. Nelle altre tre facce del capitello notiamo inoltre un re, una giovane donna ed uno strano cammello. Se è quasi scontato dare un significato alle due figure umane, a che cosa si riferirà invece quella animale? Nei libri profetici della Bibbia, i cammelli vengono menzionati nelle descrizioni delle città abbandonate da Dio. Dal IV secolo in poi, inoltre, il cammello veniva inoltre utilizzato per rappresentare la corruzione e la ricchezza, come indica Maria Raffaella Menna in "Magi e cammelli a Bisanzio". Alla luce di queste considerazioni ipotizzo (e lungi da me la pretesa d'averci visto giusto) che il capitello possa rappresentare il movente della nostra leggenda: il Re Bove, la fanciulla di cui s'era innamorato, l'abbandono alla corruzione (e, quindi, l'allontanamento dalla "retta via") e lo scontro finale tra il bene ed il male. 

Per un maggiore approfondimento su Santa Maria della Strada vi rimando a questa pagina perchè le curiosità iconografiche non finiscono qui, anzi... 

© Monica Taddia

Foto tratte da www.centrostoricocb.it - www.francovalente.it



domenica 13 dicembre 2020

Il mistero della Marmacula

Il Natale è alle porte, il freddo si fa sentire e le serate sotto al plaid assieme ad una bella tazza di tisana calda hanno rimesso in moto la voglia di scrivere. 

Il nostro viaggio di oggi ci porta verso terre di confine tra Emilia e Veneto, precisamente a Mezzogoro - frazione di Codigoro - in provincia di Ferrara. Da queste parti, quando si ha a che fare con qualcuno di credulone, sarà facile sentir dire che "l'è una marmacula".

Ma da cosa deriva questo termine e che cos'è esattamente la maramacula?

Pare che l'etimologia derivi da documenti medievali che indicavano le lagune e le valli contraddistinte da zone d'acqua ed avvallamenti detritici con il termine "mare a macula". Si fa anche riferimento ad "amara macula", una scritta stinta dall'acqua presente su una mappa o un itinerario.

Qualcuno dice che si tratti di un insetto, altri di un pesce dalle scaglie dorate e dalla pinna caudale color arcobaleno, ma l'ipotesi più plausibile è che sia, invece, un mammifero dall'aspetto mostruoso. Tutti sono concordi nell'affermare che la creatura viva nei canali dal basso fondale presenti nella zona e che sia d'indole notturna. Ad avvalorare la tesi del mammifero vi sono voci che vorrebbero la pelliccia dell'animale una delle più pregiate al mondo: chiunque riuscisse ad impossessarsene e venderla ne ricaverebbe cifre da capogiro!

La leggenda però pare avere radici molto meno fantasiose. Tutto sarebbe nato dallo scherzo di alcuni ragazzi che, stanchi delle continue "prodezze" narrate da un loro coetaneo, lo convinsero a dare la caccia alla maramacula, un animale notturno molto pericoloso che infestava le acque dei canali del paese. E così, una notte di luna piena, questi si mise sulla sponda di un canale, con un sacco tra le mani, in pieno appostamento. Inutile dire che passò ore ed ore all'addiaccio senza concluder nulla. 

Si racconta anche di qualcuno che, convinto d'aver visto la marmacula all'interno di un pozzo, si sporse troppo e ci cadde dentro come un allocco per poi rendersi conto di esser stato semplicemente attratto dai riflessi della luna sull'acqua.

Gli abitanti del paese sono talmente affezionati alla maramacula da averne fatto una vera e propria mascotte, indicendo in suo onore una sagra che si svolge ogni anno nel mese di Giugno.

Nel 2016 lo scultore Enrico Menegatti ha donato al comune di Mezzogoro la sua personale rappresentazione di questa creatura leggendaria: la foto è tratta dalla pagina Facebook dell'artista.



© Monica Taddia